Proliferano le gigafactory cinesi in Europa: pochi vantaggi, tanti rischi

L’Europa rischia di trasformarsi in un semplice centro di assemblaggio per gigafactory cinesi, senza ottenere vantaggi strategici.
gigafactory

Le gigafactory di batterie cinesi stanno proliferando in Europa, attratte da ingenti fondi pubblici e dalla crescente domanda di auto elettriche. Dietro la promessa di nuovi posti di lavoro, però, emergono criticità ambientali, economiche e strategiche. Secondo un recente studio commissionato da Transport & Environment (T&E), questi investimenti asiatici non stanno trasferendo competenze alle aziende europee, mentre contribuiscono all’inquinamento e alla dipendenza tecnologica.

Le fabbriche di CATL in Ungheria e di LG Energy Solution in Polonia hanno beneficiato di 900 milioni di euro provenienti dal Fondo europeo per la ripresa post-Covid. Eppure, la Commissione Europea non ha imposto alcun vincolo ambientale o sociale.

gigafactory CATL

Entrambi gli stabilimenti sono finiti sotto la lente d’ingrandimento per violazioni della Direttiva Ue sulle Emissioni Industriali. Risultato? Livelli di NMP, un solvente tossico impiegato nella produzione di batterie, superiori ai limiti consentiti e carenze nei sistemi di gestione delle acque. In Ungheria, inoltre, sta crescendo la preoccupazione per l’aumento del consumo di gas necessario a sostenere il fabbisogno energetico delle gigafactory, a discapito delle fonti rinnovabili. Nell’intero comparto europeo delle batterie, inoltre, emergono criticità legate ai diritti dei lavoratori e alla mancanza di adeguate tutele salariali.

Se le joint venture tra Volkswagen e Gotion in Germania e tra CATL e Stellantis in Spagna dovevano favorire il trasferimento di know-how, la realtà appare ben diversa. Lo studio evidenzia come le aziende cinesi mantengano il controllo sulla tecnologia, relegando le controparti europee a un ruolo marginale.

Nel caso dell’impianto Gotion in Germania, dove Volkswagen ha investito 1,1 miliardi di euro e possiede il 26,47% delle quote, il gruppo tedesco risulta quasi escluso dalle operazioni produttive. La partnership sembra limitarsi a una semplice fornitura di batterie LFP, senza apportare valore aggiunto in termini di innovazione o sviluppo. Situazione simile in Spagna, dove Stellantis e CATL hanno avviato una collaborazione per produrre batterie LFP con il supporto di quasi 300 milioni di euro di fondi pubblici. Anche in questo caso, però, non si registra alcun trasferimento significativo di tecnologia o competenze.

gigafactory gotion

Il problema di fondo, secondo gli esperti, è l’assenza in Europa di un quadro normativo adeguato per gestire la competizione con i colossi asiatici. In Cina, le aziende locali detengono quote di maggioranza nelle joint venture e operano sotto regole stringenti su proprietà intellettuale, assunzione di personale locale e ricerca. Negli States, l’Inflation Reduction Act (IRA) ha introdotto restrizioni sugli investimenti esteri per proteggere il settore nazionale. L’Europa, invece, rischia di trasformarsi in un semplice centro di assemblaggio, senza ottenere vantaggi strategici.

Esther Marchetti, Clean Transport Manager di T&E Italia, boccia le attuali collaborazioni con le aziende asiatiche: “Sono state presentate come strumenti di condivisione del know-how, ma non stanno portando benefici all’industria europea. Con oltre 650 GWh di capacità produttiva controllata da aziende cinesi e sudcoreane, l’Europa non può permettersi una corsa al ribasso. Servono regole stringenti sugli investimenti diretti esteri per garantire un vero trasferimento di tecnologia”.

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