Tu chiamale se vuoi coincidenze: dal Green Deal UE 2019 voluto dalla Germania in poi, valanga di licenziamenti auto; stavolta tocca a Thyssenkrupp Automotive Technology, gigante intenzionato a tagliare 1.800 posizioni nella sua divisione. Per ridurre i costi di 150 milioni di euro. Al contempo, si ridurranno gli investimenti e il capitale circolante congelando le assunzioni, specie per le posizioni al di sopra di una certa soglia salariale: quale? Non si sa. Quando è tutto indefinito, significa che le cose volgono al peggio. È la seconda spallata, aggiuntiva rispetto a un precedente piano di ristrutturazione che ha colpito anche l’Italia: vedi l’avvio dello stato di crisi alla Berco.
Motivo generico
Come sempre accade, le ragioni addotte sono generiche: condizioni di mercato persistentemente difficili nell’industria automobilistica globale. Il fatto è che le auto elettriche non si immatricolano, mentre i prezzi delle termiche volano. La divisione ha subìto, nel trimestre al 30 settembre scorso, un calo degli ordini del 12%: vendite giù del 10%. Contrazione della domanda in Europa, il cuore. Poi in Nord America e Cina.

Atti di masochismo politico automotive
Sentiamo l’amministratore delegato della divisione, Volkmar Dinstuhl: “Le prospettive per l’industria automobilistica globale rimangono deboli. I volumi di produzione continuano a rimanere indietro rispetto ai minimi storici e le discussioni sui nuovi dazi stanno creando ulteriore incertezza”. Il riferimento è alle barriere che Trump ha già messo in atto contro Canada e Messico e soprattutto che potrebbe creare il 2 aprile 2025: muro anti UE. A quanto pare, al primo atto di masochismo automotive del 2019 ne segue un secondo col Piano d’Azione 2025: si insiste sull’elettrico. La Germania, silente, accetta tutto.